Dossier
Habiter et fabriquer le patrimoine urbain ?
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Pour citer cet article :

Basso, Matteo, « « Patrimonio » e analisi delle politiche », dossier « Habiter et fabriquer le patrimoine urbain ? », 22 janvier 2020, www.reseau-lieu.archi.fr/a52

« Patrimonio » e analisi delle politiche

Par Matteo Basso
Matteo Basso, urbaniste, est post-doctorant au Département des cultures du projet de l’Université IUAV de Venise. Il (...)

Cette contribution propose une brève réflexion théorique sur le patrimoine en tant que « lieu » d’une activation potentielle d’acteurs, ressources, projets, pratiques et savoirs liés à un territoire : en d’autres termes, comme le résultat de processus de construction sociale à long terme. Dans cette perspective l’analyse des politiques publiques peut être particulièrement utile, en ce qu’elle implique de repenser les pratiques de projet et de recherche sur le patrimoine elles-mêmes, de reconnaître les dynamiques (à l’oeuvre) de pluralisation de sens et de valeurs, les multiples (et souvent conflictuelles) demandes d’usage, mais aussi la contribution du patrimoine à la construction du « public ».

Queste note muovono dall’assunto che quello che comunemente chiamiamo patrimonio – urbano, territoriale, paesaggistico, naturale, ambientale – non sia semplicemente da considerarsi come un “oggetto” (e dunque l’esito di un qualche progetto di valorizzazione), quanto piuttosto un “luogo” di potenziale attivazione di attori, risorse, progettualità, pratiche e saperi locali. In poche parole, il risultato di processi di costruzione sociale di lungo periodo, che trovano una propria sedimentazione a livello spaziale.
Ciò premesso, questo contributo propone una breve riflessione a partire dalle personali esperienze maturate in qualità di pianificatore territoriale, e, nello specifico, di ricercatore nel campo del planning e delle politiche urbane. Proverò ad articolare il ragionamento in tre passaggi : le prospettive di ricerca, la pluralizzazione del significato di patrimonio, la costruzione del « pubblico ».

Prospettive di ricerca

Mi sembra di poter sostenere che, di fronte a un patrimonio urbano già valorizzato o che si presta a esserlo, il ruolo del ricercatore possa essere duplice, e debba essere riferito alle specifiche prospettive di ricerca di volta in volta adottate : descrittivo-interpretative e prescrittivo-normative.
Da un lato, nel ruolo di analista di politiche urbane e territoriali, mi trovo con frequenza ad adottare il metodo dello studio di caso (Yin, 1994) al fine di osservare, ricostruire e interpretare processi di trasformazione/valorizzazione urbana, territoriale e paesaggistica. Attraverso tecniche prevalentemente qualitative di ricerca sul campo, questo tipo di attività si pone l’obiettivo di comprendere le dinamiche che ineriscono alla costruzione “sociale” dell’heritage, indagando nello specifico la molteplicità di significati e valori (spesso conflittuali) attribuiti ai beni oggetto di iniziative di valorizzazione : che cosa è patrimonio e per chi ? come è stato valorizzato, da chi e per chi ?
Dall’altro lato, in prospettiva normativa, il ruolo del ricercatore è individuabile prendendo a riferimento le proprie competenze di progettazione e gestione di processi di politiche. Nell’ottica della costruzione, a diverse scale di intervento, di progetti di ri-significazione e valorizzazione dell’heritage, al ricercatore-planner è richiesto infatti di contribuire al disegno e alla gestione (quanto più efficace ed efficiente possibile) di processi interattivi di planning. L’efficacia di tali processi andrà ritrovata nella capacità delle politiche di favorire il carattere pluralistico e relazionale delle interazioni, ponendo al centro degli sforzi progettuali un “incontro” tra le domande, i bisogni e i valori attribuiti da una molteplicità di attori ai beni oggetto di strategie di patrimonializzazione. In sintesi, il sapere pratico (e tecnico) dell’urbanistica e della pianificazione territoriale è qui finalizzato a stimolare e a far dialogare forme diverse di conoscenza : la mobilitazione di saperi esperti, la conoscenza ordinaria di cittadini/utenti, la conoscenza “interattiva” che trae origine (e diviene utilizzabile) nel corso delle stesse attività di progettazione e realizzazione degli interventi, in una logica riflessiva, di continuo apprendimento (Lindblom e Cohen, 1979 ; Crosta, 1998) e di sense-making da parte dei diversi attori coinvolti (Weick, 1995).
Nell’intervento presentato in occasione del convegno “Abitare il patrimonio urbano/Habiter le patrimoine urbain” dal titolo “Abitare territori marginali : le isole minori della laguna di Venezia tra abbandono e recenti pratiche di ri-popolamento”, la duplice prospettiva di cui sopra è pienamente apprezzabile.
In primis per lo sforzo di esplorazione, attraverso la conduzione di interviste in profondità, dei processi di costruzione sociale dell’“idea” di isola e dell’idea di abitare che le emergenti pratiche di ritorno abitativo rendono evidenti. L’indagine su queste pratiche si pone infatti l’obiettivo di comprendere come dei contesti di fatto marginali – caratterizzati, negli ultimi anni, da intense dinamiche di spopolamento e invecchiamento demografico – stiano divenendo oggetto di valorizzazione da parte di quei soggetti che decidono di andarci (o tornarci) a vivere, e che alla base di questa scelta di vita pongono un riconoscimento del loro valore patrimoniale in termini urbanistici, paesaggistico-ambientali, ma anche legati alla storia, alle tradizioni, all’identità locale. Un processo di valorizzazione che si concretizza, di fatto, attraverso le pratiche dell’abitare, e che può dunque “innovare” le stesse politiche istituzionali di patrimonializzazione, al contrario spesso ridotte a semplice apposizione di vincoli di tutela e conservazione.
In seconda battuta, la portata normativa della ricerca può essere ricercata nella sua capacità di riconoscere le isole (per lungo tempo “dimenticate” nell’agenda politica e decisionale della città) quali contesti importanti per contribuire a un rilancio, a Venezia, di una vera e propria politica per la residenzialità, a fronte di un centro storico sempre più immerso nei flussi turistici di massa e nelle dinamiche dell’industria del turismo globale.

Pluralizzazione del significato di patrimonio

Come detto, il patrimonio urbano, territoriale, paesaggistico e ambientale non può essere considerato un oggetto “a sé stante” e univocamente definito/definibile. Al contrario, esso deve essere concepito come l’esito, non di rado conflittuale, di processi di costruzione sociale di lungo periodo, in cui è in gioco una sovrapposizione di usi e pratiche che, come ovvio, rimandano a diverse domande, bisogni e orientamenti valoriali.
Nel caso delle isole minori della laguna di Venezia, una molteplicità di valori e di pratiche d’uso è evidente : ci si trova infatti di fronte a contesti caratterizzati oggi da dinamiche tanto “espulsive” (i processi di spopolamento in corso), quanto di “accentramento” (i processi di turisticizzazione, ma anche le pratiche di ritorno abitativo esplorate nel corso della ricerca).
Da una parte, dunque, si possono riconoscere dei valori sociali e identitari in gioco. Questi sono legati alla costruzione del significato che le isole hanno oggi (e avranno nel futuro), e dunque alle pratiche abitative dei residenti autoctoni, ma anche dei nuovi isolani che, decidendo di trasferirsi, innescano concretamente dei processi di ri-significazione dei loro valori patrimoniali. Dall’altra parte, però, sono altrettanto apprezzabili i potenti processi economici e finanziari che rendono questi contesti oggetto degli interessi dell’industria turistica globale. Si fa qui particolare riferimento a quei casi (molteplici e presenti con una certa continuità nel dibattito pubblico degli ultimi anni) di acquisizione, da parte di investitori privati nazionali e internazionali, di intere isole (o di porzioni di isole) con la costruzione di resort di lusso per una clientela turistica a elevata capacità di spesa, intenzionata a “consumare” le immagini delle isole quali territori marginali, a bassa densità abitativa e di popolazione, caratterizzati ancor oggi da una natura selvaggia e prevalentemente incontaminata.

La costruzione di « pubblico »

È un dato di fatto che i processi contemporanei di trasformazione urbana e territoriale non possano più essere osservati, descritti e compresi attraverso la tradizionale dicotomia “pubblico vs privato”, per lungo tempo dominante nel campo di ricerca e riflessione degli studi urbani.
Al contrario, come tra l’altro già anticipato, tali processi si caratterizzano oggi per la presenza di molteplici attori che, nella pratica, sono guidati da valori e razionalità anche molto diversi tra loro ; essi sono altresì in grado di mobilitare risorse di tipo differente (non solo economico-finanziarie, ma anche conoscitive, legali, politiche, relazionali, gestionali, ecc.).
Questa assunzione è vera anche con riferimento ai processi di riconoscimento e gestione del patrimonio urbano, territoriale, paesaggistico e ambientale, in cui ad attori istituzionali “classici” – tradizionalmente deputati alle attività di governo del territorio e di conservazione/valorizzazione dei beni, come le Soprintendenze – si affiancano soggetti del mondo privato, e, sempre più spesso, soggetti appartenenti al cosiddetto terzo settore.
L’analisi delle politiche pubbliche, non a caso, ci insegna a guardare alle politiche come azioni (in questo caso di riconoscimento, conservazione e valorizzazione dell’heritage) intenzionalmente messe in campo da una pluralità di attor individuali e collettivi, indipendentemente dalla loro natura giuridica e da a-prioristiche attribuzioni giuridico-formali di ruoli, legittimazioni, funzioni e competenze (Crosta, 1995 ; Bolocan Goldstein e Pasqui, 1996). In ciò, è dunque interessante studiare e capire le stesse politiche di conservazione/valorizzazione del patrimonio come processi di produzione e riproduzione di beni comuni e di “pubblico” (à la Dewey, 1927), attraverso un mix di strumenti : le strategie “classiche” delle amministrazioni pubbliche, i progetti di conservazione e riuso proposti da soggetti privati, le forme (sempre più centrali) di attivazione civica inquadrabili oggi dentro il frame dell’innovazione sociale. Rispetto a questo ultimo punto, è innegabile che i processi di patrimonializzazione siano oggi spesso innescati da gruppi di cittadini che riconoscono alcuni luoghi e alcuni oggetti come beni comuni di cui prendersi cura, al di là di qualsiasi formale nominazione da parte delle autorità pubbliche competenti : di nuovo, ne è un esempio il ritorno abitativo, oggi, in contesti marginali come i borghi di montagna abbandonati, o le isole minori della laguna di Venezia.
Ciò detto, è comunque necessario rivendicare l’autorevolezza, la competenza e la legittimazione del pubblico (inteso come attore istituzionale) nel ruolo di “guida” di tali processi, al fine di mantenere e difendere il concetto di bene comune, ma anche di integrare i progetti di conservazione/valorizzazione dell’heritage con le politiche ordinare di pianificazione urbanistica e territoriale. In tale prospettiva, la scala degli interventi dipende ovviamente dalla dimensione e dalla tipologia degli oggetti sottoposti a patrimonializzazione, sempre comunque ricordando la necessaria (e scontata, almeno in teoria) integrazione tra i livelli dell’azione pubblica.

"Venise, Isola delle Vignole (c) Matteo Basso

Bibliographie
Bolocan Goldstein, M. e Pasqui, G., 1996. Urbanistica e analisi delle politiche pubbliche. Profili di un dialogo. In : Bolocan Goldstein, M., Borelli, G., Moroni, S. e Pasqui, G., Urbanistica e analisi delle politiche. Riflessioni attorno a quattro casi studio, Milano : Franco Angeli, pp. 14-42.
Crosta, P.L., 1995. La politica del piano. Milano : Franco Angeli.
Crosta, P.L., 1998. Politiche. Quale conoscenza per l’azione territoriale. Milano : Franco Angeli.
Dewey, J., 1927. The public and its problems, New York : Holt.
Lindblom, C.E. e Cohen, D.K., 1979. Usable knowledge. Social science and social problem solving. New Haven : Yale University Press.
Weick, K.E., 1995. Sensemaking in organisations. London : Sage.
Yin, R.K., 1994. Case study research. Design and Methods. Thousand Oaks ; London ; New Delhi : Sage.

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