Dossier
Habiter et fabriquer le patrimoine urbain ?
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Pour citer cet article :

Basso, Sara, « Rileggere il quartiere come patrimonio.. Prospettive di trasformazione e progetto della città pubblica a partire dalle forme dell’abitare. », dossier « Habiter et fabriquer le patrimoine urbain ? », 11 octobre 2019, www.reseau-lieu.archi.fr/a48

Rileggere il quartiere come patrimonio.
Prospettive di trasformazione e progetto della città pubblica a partire dalle forme dell’abitare.

Par Sara Basso
Architecte et docteur en urbanisme, Sara Basso est enseignant-chercheur en Architecture de l’Université de (...)

Résumé
De nombreuses pistes de recherche ont valorisé la les quartiers d’habitat social (città pubblica) en tant que ’patrimoine de l’habiter’. En inversant la perspective, dans cet article nous proposons de réévaluer ces quartiers à partir de leur forme urbaine, et en particulier de leur dimension même de ‘quartier’. À partir de l’idée de réévaluer le quartier en tant que patrimoine, certaines pistes de recherche possibles sont mises en évidence. Elles remettent en question la forme du voisinage dans les quartier à travers les notions de mesure, de position et d’équipements sociaux, et suggèrent l’opportunité d’interventions visant à valoriser les ressources sociales et spatiales de ces quartiers.
Abstract
Numerosi sono i percorsi di ricerca che hanno valorizzato la città pubblica come ‘patrimonio dell’abitare’. Invertendo la prospettiva, in questo scritto si prova a ragionare sull’opportunità di rivalutare la città pubblica a partire dalla sua forma urbana, in particolare dalla forma ‘quartiere’. A partire dall’idea di rivalutare il quartiere come patrimonio, si delineano alcune possibili tracce di ricerca che mettono in tensione la forma urbana e le sue trasformazioni attraverso l’idea di misura, posizione e attrezzature, per provare ad indicare mosse discrete per un fare progettuale orientato a valorizzare le risorse sociali e spaziali della città pubblica.

Da tempo, riconosciamo nei quartieri di edilizia residenziale pubblica (erp) un potenziale campo per rinnovare progetti e politiche urbane e territoriali. In Italia, un’inaugurale ricerca ha riportato all’attenzione la ‘città pubblica’
Con [1] come ‘laboratorio di progettualità’ (Laboratorio Città Pubbliche, 2009) ; da allora, molti percorsi di indagine e progetto hanno confermato l’interesse e la rilevanza del tema nella riflessione sulla città a noi contemporanea.
Seguendo traiettorie variabili, ma tutte ugualmente legittime, questi percorsi hanno sostenuto un processo di rivalutazione della ‘città pubblica’ e del suo valore come patrimonio privilegiando essenzialmente la lente dell’abitare (Andriani, 2010). Indagini e narrazioni, sviluppate intorno all’osservazione degli abitanti e delle loro pratiche, di volta in volta hanno portato a descrivere la città pubblica come ‘spazio abitabile’ (Infussi, 2011), ‘paesaggio quotidiano’ (Di Biagi, 2013 ; Metta, Olivetti, Lambertini, 2014), luogo per l’affermazione di diritti (Basso, 2016), campo di politiche pubbliche urbane (Cognetti, 2018), ecc. Il robusto corpus di riflessioni che ha accompagnato questi studi va senz’altro posto in relazione con interpretazioni generali del mutamento che leggono nella città pubblica uno dei paesaggi della contemporaneità (Gabellini, 2010) e nelle periferie luoghi da cui partire per la costruzione di un’agenda urbana per il nostro paese [2]
Invertire il punto di vista, per tornare ad osservare la città pubblica a partire dallo spazio del ‘quartiere’ come forma urbana (Cremaschi, 2008), potrebbe risultare ugualmente utile. Disciplinarmente assai praticato, sia pure con esiti alterni [3]
, il tema del quartiere può essere occasione per esplorare nuovi percorsi di rigenerazione e valorizzazione del patrimonio erp. Si tratta, in qualche modo, di recuperare le radici di una riflessione progettuale sulla città pubblica che, in Italia, riconosceva proprio nella dimensione del ‘quartiere’ la misura ottimale per il raggiungimento di un ‘benessere concreto’ dei suoi abitanti, nonché un’occasione di sperimentazione per il progetto urbanistico (Basso, Marchigiani, 2018).
Quartiere come patrimonio
Assunto come modello a partire dai noti riferimenti anglosassoni e americani (Caramellino, 2018), in Italia il quartiere ha trovato nella città pubblica campo di ricerca e affinamento privilegiato, in particolare nel secondo dopoguerra [4]Adottare la prospettiva del ‘quartiere come patrimonio’ significa riconoscere, innanzitutto, il valore della relativa riflessione progettuale. Ma significa anche provare a rintracciare come gli elementi caratterizzanti quella forma urbana abbiano costituito il supporto materiale per forme di resistenza o di crisi [5]
nella città pubblica, configurandosi oggi come potenziali risorse per nuove progettualità. Da questo punto di vista non è difficile riconoscere, tra gli studi urbani che si sono occupati di questo tema, una convergenza nel ricondurre a prossimità spaziale, dotazione di servizi, accessibilità alla città, alcuni tra i tratti distintivi che danno riconoscibilità progettuale alla forma quartiere (Borlini, Memo, 2008 ; Borlini, 2010). Non di rado, sono proprio questi a divenire fattori potenziali nella città pubblica, dove generosa dotazione di spazi aperti – spesso accompagnata da un altrettanto significativa presenza di attrezzature e spazi del welfare - rappresentano, tra gli altri, elementi alla base di una rinnovata desiderabilità dei quartieri popolari (Annunziata, 2008). Nuove traiettorie di ricerca per la città pubblica possono essere individuate riconsiderando questi caratteri spaziali alla luce delle modificazioni socio-economiche che nel tempo hanno investito la città pubblica (cambiamento della composizione sociale degli abitanti, ritrazione del pubblico e riduzione delle risorse, processi di degrado di edifici e spazi aperti, ecc.), concorrendo al processo di suo declino.
A partire da esperienze didattiche e di ricerca condotte a Trieste [6], si delineano alcune prospettive utili a sostenere e indagare questa ipotesi. L’intento è di suggerire mosse discrete per un fare progettuale orientato a dare risposta a nuove domande di città e ai temi ambientali, sociali e di giustizia spaziale connessi alla questione urbana, seguendo l’idea di un progetto mite (Infussi, 2007) ma non arrendevole.
Tre prospettive di ricerca
Prossimità e radicamento/Distanze. Una prima traccia di ricerca fa riferimento all’idea del quartiere come spazio misurabile, ovvero come ambito dove l’esperienza urbana sia dimensionalmente controllabile e possa trovare arricchimento anche in quelle piccole spazialità che, però, possono avere grandi conseguenze sociali (Amin, Thrift, 2005). Dare valore patrimoniale alla misurabilità del quartiere è importante per ragioni diverse. In primo luogo, perché ‘lo spazio conta’ (Bianchetti, 2016) : nella sua materialità e concretezza riconosciamo ancora il substrato indispensabile dell’esperienza urbana e, ancor prima, di un fare progettuale capace di valorizzarla. In secondo luogo, perché oggi sono numerose le prospettive di rigenerazione che invitano a ricondurre la qualità dell’esperienza urbana a requisiti come accessibilità, prossimità, vicinanza, ecc. ; requisiti tradotti in progetti che aspirano a reificare, con il loro farsi, principi di equità e uguaglianza sociale nel disegno di una città giusta e accessibile (Secchi, 2010). Adottando un punto di vista che avvalora la lettura del quartiere nella sua materialità, definita da limiti e confini, possiamo provare a immaginare nuovi ‘parametri di misura’ per osservare i suoi spazi.
A Gretta, quartiere realizzato negli anni ‘50 (Di Biagi, Marchigiani, Marin, 2004), si è provato a partire dalla lettura delle tracce sedimentate da un abitare difficile, che fa i conti con l’assenza di luoghi pubblici riconosciuti, un’orografia insidiosa per gli abitanti - in prevalenza anziani - ma anche con un contesto in cui numerose sono le situazioni di marginalità e fragilità sociale. L’intento è stato quello di provare a leggere gli indizi ambientali (Chiesi, 2010) come punto di partenza per ridefinire la forma del quartiere e le sue misure (fig. 1). Le letture proposte ne hanno interpretato i ‘confini’ attraverso percezioni e soglie, andando a riconoscere possibilità e limiti legati alla effettiva percorribilità e al potenziale di spazi che hanno accolto nel tempo usi diversi, anche imprevisti

Figura 1-2-3 : Trieste, Gretta. Letture del quartiere : misure, indizi ambientali, limiti. Workshop Gretta 2015, Per un atlante degli spazi di mediazione (Sara Basso, Valentina Crupi, Paolo Papale, Lorenzo Pentassuglia, Gianna Omenetto).
Lavorare su questi indizi può diventare opportunità sia per dare valore positivo, come spazi generativi di nuove relazioni, ai molteplici confini presenti, sia per valorizzare le progettualità insite nelle pratiche dell’abitare (Cellamare, 2011), pratiche con cui gli abitanti hanno messo in campo strategie di adattamento alla rigidità di spazi duri e poco malleabili.
Posizione, accessibilità e scale. Una seconda prospettiva richiama all’idea del quartiere come spazio non solo misurabile, ma localizzato ; invita a valutarne la forma rispetto non solo alla città, bensì ad una più ampia dimensione territoriale. Proprio la posizione dei quartieri è riconosciuta come uno dei fattori che ha inciso negativamente sull’abitabilità dei loro spazi, laddove attrezzatture e servizi che avrebbero dovuto garantirne l’autosufficienza, soprattutto in condizione di distanza rispetto alla città, non sono state realizzate. La perifericità ha nel tempo alimentato lo stigma che per lungo tempo ha connotato i quartieri pubblici, accentuando così la loro condizione di isolamento e di lontananza rispetto alla città. Oggi le condizioni sono cambiate : se da un lato l’iniziale distanza si elide per i processi di espansione, che hanno progressivamente assorbito le parti della città pubblica nel continuum urbano, dall’altro la condizione di liminarietà di molti quartieri può essere letta come opportunità di riscoperta del territorio e delle sue risorse.
Porre il quartiere in una prospettiva di scala ampia invita a riconsiderarne il rapporto tra interno ed esterno, secondo sequenze di spazi che si articolano dall’alloggio alla città. Si tratta di riconsiderare le potenzialità della città pubblica nel farsi tramite di relazioni alla scala territoriale, anche a partire da un diverso progetto dei suoi spazi collettivi. Spazi che, proprio per la natura giuridica del suolo, possono garantire ampia permeabilità di percorrenza, e ricomporsi entro un disegno più complessivo di trame di connessione : tra città e campagna, tra città e territorio, tra ecologie, tra servizi e attrezzature, ecc. A Trieste, questa prospettiva ha sollecitato la ricomposizione di un sistema territoriale di relazioni, percettive e non, secondo un disegno che avvalora l’ipotesi di riconoscere come strategica la scala intermedia (Mininni, 2012 ; 2017). Una scala che trova concretezza in ‘spazi di mediazione’ tra quartiere e territorio, qui declinati in forme di naturalità differenti, letti come occasione per un ridisegno dei margini urbani e agrourbani

Figura 4 : Trieste. Una lettura dei quartieri attraverso relazioni di prossimità e percezioni. Karin Drosghig, Infiltrazioni : reinterpretare i quartieri della città pubblica come dispositivi di relazione, tesi di laurea (relatori : Sara Basso, Mirko Pellegrini).
Attrezzature del welfare e nuovi spazi condivisi. Un’ultima prospettiva riconosce il valore del quartiere come luogo dove si sono sedimentate importanti politiche di welfare novecentesche (Secchi, 2005 ; Secchi, 2001). Il patrimonio di attrezzatture e servizi in cui riconosciamo gli esiti concreti di queste politiche è quello che forse, nella maggior parte dei casi, ha subito assieme agli edifici il più feroce processo di degrado. Le tracce del declino si colgono in servizi e luoghi sociali di prossimità chiusi, negli spazi comuni ai piani terra abbandonati, nelle attrezzature e spazi aperti non utilizzati. Eppure, proprio in questi spazi riconosciamo un campo dove provare a riformulare sia l’idea di servizio, entro strategie il più possibili inclusive e abilitanti per i soggetti, sia la configurazione degli spazi in cui questi stessi servizi sono erogati, immaginando una loro riorganizzazione in più strutturati sistemi di accessibilità alla città (Marchigiani, Garofolo, 2019).
È quanto si sta provando a fare a Borgo San Sergio, quartiere a sud-est della città, ideato da un gruppo di progettisti guidati dall’architetto di origine triestina Ernesto Nathan Rogers, e basto su modello dei quartieri organici e autosufficienti proprio di derivazione anglosassone (Molinari, 2002). Spazi e attrezzature concentrati nel ‘cuore’ del Borgo e diffusi nelle isole residenziali a questo circostanti, divengono oggi punto di partenza per il progetto di un telaio di servizi (Basso, 2019) che muta natura attraversando il quartiere, passando dalle superfici dure del cuore sino ai più esterni paesaggi liminari

Figura 5 : Trieste, Borgo San Sergio. Un quartiere agrourbano. Una nuova struttura di servizi. Laboratorio di progettazione urbanistica, a.a. 2018/19, Sara Basso, Paola di Biagi con Valentina Crupi e Mirko Pellegrini, studenti : Irem Akgun, Emmanuella Attakora Duah, Arianna Doro, Vittoria Parlati, Enrico Sgurbissa
Il progetto, che nasce dalla collaborazione tra Università e una cooperativa sociale ed è co-finanziato dalla Regione Friuli-Venezia Giulia
 [7]
si propone di costruire una filiera corta rivalutando i margini agrourbani del Borgo, favorendo un processo di rigenerazione anche dei suoi spazi aperti. L’intento è di intrecciare strategie di valorizzazione di spazi, prodotti e risorse agricole con politiche di welfare già attive nel quartiere. La volontà è dunque di mettere a sistema un mosaico paesaggistico con luoghi già utilizzati come presidio di un welfare territoriale che opera da anni nel Borgo coinvolgendo gli abitanti . Un progetto che punta non solo a restituire coerenza al disegno della città pubblica, ma anche a mettere in campo nuove alleanze tra soggetti pubblici, terzo settore, università e privati in azioni di trasformazione, uso e pratiche sostenibili del e nel territorio.
Riferimenti bibliografici
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[1‘città pubblica’ ci si riferisce a parti urbane realizzate dall’operatore pubblico per soddisfare la domanda di alloggi di persone che non possono accedere al mercato privato dell’abitazione : cfr. Di Biagi, 2001

[2Ne sono un esempio le esperienze di riqualificazione legate ai Contratti di quartiere per arrivare ai più recenti esempi di rigenerazione urbana che hanno posto al centro quartieri di edilizia pubblica, e più in generale le periferie, valgano per tutti i casi di Milano e Torino.

[3Da un lato studi, ricerche e progetti si muovono tra puntuali riflessioni che rileggono il quartiere alla luce dei cambiamenti sociali e delle trasformazioni della città, dall’altro lato assistiamo a sperimentazioni di progetto troppo addossate sull’idea di quartiere come insieme finito e idealizzato, riflesso di una comunità omogenea che condivide senza attriti stili di vita (è il caso, ad esempio, dei quartieri sostenibili).

[4Ampia la letteratura a riguardo, per tutti si veda Di Biagi, a cura di, 2001, ma anche Basso, Marchigiani, 2018.

[5“La resistenza è quindi qualcosa che reagisce al progetto, una particolare pratica dell’abitare che riscrive alcune configurazioni spaziali o prefigurazioni progettuali assecondandole parzialmente o assumendo verse di esse un atteggiamento apertamente antagonista.” (Di Campli, 2010 ; 19).

[6Con continuità il gruppo di ricerca coordinato da Paola Di Biagi a cui partecipano, oltre a chi scrive, Elena Marchigiani e Alessandra Marin (Università degli Studi di Trieste), da tempo lavora su temi legati alla riqualificazione della città pubblica, sperimentando percorsi di indagine e progetto che negli anni hanno coinvolto giovani ricercatori, studenti, oltre che abitanti e i molti attori pubblici che operano nei quartieri.

[7Progetto HEaD “Per un modello innovativo di agricoltura sociale. Gli Orti di Massimiliano” “Per un modello innovativo di agricoltura sociale. Gli Orti di Massimiliano”, Interland Consorzio per l’integrazione e il lavoro – Società

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